Sono tornato da due giorni passati al Cavallino. Non si trattava di una breve vacanza, bensì di partecipare ad un’assemblea dei preti con il Patriarca. Eravamo circa un’ottantina e in qualche momento anche di più. A fare che? – si chiederà qualcuno. A prenderci cura di noi stessi e delle comunità a noi affidate. Riassumo in tre verbi quello che ho imparato.
- Fermarsi. Quando nei mesi scorsi è scoppiata la pandemia, tutti siamo stati costretti a fermarci e a restare a casa: dal lavoro, da scuola e dall’università. Quello che era uno stop imposto, nel quale abbiamo imparato a riconoscere ciò che conta, ora può diventare una scelta: chi sa fermarsi fa attenzione a ciò che avviene attorno a sé e dentro di sé.
- Ascoltare. E’ indispensabile per realizzare un rapporto interpersonale: con il prossimo e con Dio. Accorgersi dell’altro, dargli tempo e fargli spazio, aprirsi al dialogo e al confronto richiedono quella «ginnastica» quotidiana, che è la docilità.
- Uscire. Abbiamo corso e corriamo il rischio di chiuderci: nella paura, nella sfiducia, nella pigrizia, nel mito dell’autosufficienza. Invece bisogna avere il coraggio di uscire, per andare incontro agli altri, al vicino e al lontano. Uscire per partecipare, condividere e vivere insieme.
E’ il tempo del coraggio e della gioia di credere, «radicati e fondati in Cristo» (Col 2,7).